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Termini e condizioniLe comunità arbëreshë del Sud Italia: un ponte culturale tra Albania e Italia
Nel Sud Italia, tra Calabria, Sicilia, Basilicata, Puglia e Molise, esistono circa 50 comunità che conservano una lingua antica: l’arbërisht, parlata da oltre 100.000 persone. Questi abitanti, detti arbëreshë, sono i discendenti di profughi albanesi giunti in Italia tra il XV e il XVIII secolo, in fuga dall’avanzata ottomana nei Balcani. La loro storia è un intreccio di resilienza, identità culturale e integrazione, che ha dato vita a un patrimonio unico nel Mediterraneo.
Un esodo causato dall’invasione ottomana
Le radici di queste comunità risalgono alla resistenza albanese guidata dall’eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg (1405-1468), che per decenni contrastò l’espansione turca nei Balcani. Dopo la sua morte, l’Albania cadde sotto il dominio ottomano, e migliaia di famiglie cercarono rifugio nelle terre cristiane. Il Regno di Napoli, allora sotto Alfonso V d’Aragona, offrì loro asilo in cambio di supporto militare. Tra il 1448 e il 1774, si susseguirono almeno nove ondate migratorie, con insediamenti in aree spesso impervie, come l’Appennino calabrese o le colline siciliane.
I primi arrivati, nel 1448, ottennero terre in provincia di Catanzaro. Poi successivi gruppi si stabilirono in Sicilia (Piana degli Albanesi), Basilicata (Barile) e Abruzzo (Villa Badessa). Molti erano soldati, ma non mancarono contadini, artigiani e religiosi, determinati a preservare lingua, fede e tradizioni.
L’arbërisht: una lingua medievale conservata nel tempo
L’arbërisht deriva dall’albanese medievale parlato nel sud dell’Albania (dialetto tosco), ma ha sviluppato caratteristiche uniche. Isolati geograficamente e culturalmente, gli arbëreshë hanno mantenuto fonemi arcaici, perduti nell’albanese moderno a causa delle influenze turche. Ad esempio, l’arbërisht non ha la vocale «y», sostituita da «i», e conserva termini latini e greci assorbiti prima delle migrazioni.
La lingua scritta fu codificata nel 1592 dal sacerdote Luca Matranga, autore della prima opera in albanese: una traduzione della Dottrina Cristiana. Successivi intellettuali, come il poeta Girolamo De Rada (XIX secolo), promossero l’unificazione linguistica, adottando nel 1908 l’alfabeto latino standardizzato ancora in uso.
Fattori chiave della sopravvivenza culturale
Tre elementi hanno permesso agli arbëreshë di preservare la loro identità:
Comunità arbëreshë oggi: tra tradizione e modernità
Oggi, centri come Civita (Calabria), Piana degli Albanesi (Sicilia) e Lungro (sede dell’Eparchia bizantina) sono simboli di questa eredità. Le donne anziane indossano ancora costumi tradizionali ricamati, mentre durante le feste (come la Pasqua arbëreshë) si eseguono danze al suono della lahuta, uno strumento a corde simile al liuto.
Nonostante l’italiano sia ormai dominante, l’arbërisht resiste grazie a iniziative come scuole bilingui, festival culturali e media locali. Nel 2021, la Regione Calabria ha riconosciuto l’arbërisht come lingua minoritaria, promuovendone l’insegnamento.
Le comunità arbëreshë rappresentano quindi un caso unico di conservazione linguistica e culturale in Europa. La loro storia ricorda come migrazioni e integrazione possano generare ricchezza, anziché conflitto. Preservare questo patrimonio non è solo un dovere storico, dunque, ma anche un’opportunità per riscoprire radici comuni nel Mediterraneo.